Testimonianze di guarigioni nella medicina
ufficiale.
Mi capita spesso, soprattutto in questo periodo, di imbattermi in
testi riguardanti cure alternative per sconfiggere malattie gravi,
quali il cancro, la leucemia, la sclerosi, l' aids,....
Il primo dato che da nell' occhio è la totale contrapposizione tra
medicina ufficiale e soluzioni alternative per la cura di queste
terribili malattie.
E tutto questo nonostante migliaia di testimonianze per entrambi
gli schieramenti.
La medicina ufficiale con i suoi metodi inquisitori "mette al rogo"
anche importanti scienziati e medici non allineati che hanno trovato
cure alternative a quelle ufficiali ( chemioterapia, radioterapia,
chirurgia,..)
E queste cure alternative, nella maggior parte dei casi sarebbero cure
naturali e quindi di poco costo a base di stimolazioni
elettriche, di Bicarbonato, di vitamina c, e che vanno a combattere
ancor prima che i sintomi, la causa della malattia, sia che sia
individuata in batteri, virus, finghi, stress, sia che la vedono nella
degenerazione cellulare.
L' altro schieramento, quello della medicina non ufficiale, ancor di
gran lunga minoritario ma sempre crescente con la maggiore
informazione, denuncia l' alterazione dei dati statistici della
medicina ufficiale, imputando alla stessa la morte di migliai di
persone sottoposte a chemioterapia, radioterapia e chirurgia, definiti
mezzi barbari per sconfiggere una malattia e cause esse stesse della
maggior parte delle morti per cancro.
Come venir fuori da questa non semplice
contesa?
Come risolvere una questione così importante dalla quale dipende la
vita o la morte di migliaia di persone ogni anno?
Preferiamo non pensarci e lasciare ai diretti interessati ( i malati e
i loro famigliari) il problema di scegliere una via piuttosto di un'
altra, dalla quale però dipenderà la loro sopravvivenza?
Mi sembra quanto meno doveroso informarsi,
leggere, studiare i casi e soprattutto vedere le testimonianze gi
guarigione da una parte o dall altra, senza lasciare alcun chè di
intentato.
Questo è quello che voglio riportare in queste pagine, cercando di
dare una speranza in più alle persone che si trovano all' improvviso
dentro un incubo.
Cercando di far capire una assai difficile verità a tutti gli altri:
la vita è bella ma è piena di insidie e di ostacoli che prima o poi
tutti noi dovremmo incontrare, non fossaltro con l' ineluttabile
arrivo della "sorella" morte.
Per questo è importante saper vivere ogni giorno la nostra esistenza
nel modo migliore, cercando di cogliere ogni istante che ci viene
regalato nella più totale meraviglia e serenità. Solo così saremo
pronti ad affrontare qualsiasi avversità fino anche a quella estrema
della morte.
Oggi sembra Illusorio sperare che
prima o poi le forze del bene si uniscano tutte sotto un' unica
bandiera, cercando tutte insieme con la forza dei geni e delle persone
brillanti, degli scienziati di ogni estrazione, dei santi, i
guaritori,...i credenti di ogni religione e tutti noi, finalmente
consapevoli, di risolvere il problema della sofferenza del Mondo,
dell' uomo e della natura intera.
Non vogliamo essere sballottati da una parte e dall' altra seguendo la
conta dei morti. Vogliamo poter scegliere e per poterlo fare dobbiamo
conoscere cosa ci aspetta e cosa si può fare per risolvere la nostra
malattia.
Vogliamo anche essere in grado di affrontarla fisicamente e
psicologicamente e anche questo è un nostro diritto.
Perchè le testimonianze "rubate" qua la possono essere d' aiuto
a tante persone.
TESTIMONIANZE
DI GUARIGIONI
sono guarito grazie alla medicina uffiaciale
Vorrei raccontare
in breve la storia di un carissimo amico
Ai tempi dell' università, che per noi sono coincisi con
il servizio militare, Mauro si ammala di cancro.
Non si sapeva bene di come si fosse sviluppato, ma
sicuramente ci fù una serie di concause apparentemente
indipendenti.
Fece la trafila solita della chemioterapia, passando
diverse settimane in ospedale e arrivando alla
discussione della laurea con la flebo.
Questo per dire la forza di volontà e l' attaccamento
alla vita che ha dimostrato Mauro in quei momenti
difficili
Ricordo che un giorno, in ospedale, mi disse che stava
combattendo una guerra per sconfiggere il cancro e che
sarebbe riuscito a vincerla; e tutto questo sempre con
il sorriso sulle labbra.
Mauro ha avuto la fortuna e il merito di avere sempre al
suo fianco Monica, la sua attuale moglie, con la quale
hanno avuto un bellissimo bambino, Enrico, orgoglio mio
e della mia compagna Francesca, suoi padrini.
E' sempre stato confortato dall' amore dei famigliari e
dei tanti amici.
E' stato seguito da uno staff medico eccezionale,
sopratutto dal punto di vista umano ( a iniziare da
Adriana, grande medico e grande persona che si dedica a
curare persone gravemente malate di leucemia e tumori in
genere) oltre che professionalmente preparati.
E' stato, soprattutto deciso e forte nell' affrontare la
malattia fino a sconfiggerla definitivamente tanti anni
fa.
Ci tenevo a portarvi questa testimonianze di guarigione
da un cancro, vissuta da vicino e che mi ha lasciato
dentro una consapevolezza diversa e che prima non avevo.
Grazie Mauro
Ecco altre testimonianze di
guarigione tratte dal sito ufficiale per la lotta contro
il cancro www.airc.it
dove potete trovare altre belle testimonianze di
guarigione e di vita.
"Ho vinto" la malattia

Cristina 45 anni - Carcinoma al
colon-retto
Nasce a Roma, dove vive,
nel 1958. È sposata e ha due figli. Si
laurea in Giurisprudenza alla Università
Statale ‘La Sapienza’ di Roma e dal 1993
esercita la professione di avvocato
amministrativista. Una donna di
quarantacinque anni, una vita apparentemente
normale: un marito, due figli, un lavoro.
Tutto fila liscio fino a quando non arriva
lui, ‘il bastardo’, un carcinoma al
colon-retto.
Questo l’antefatto del
romanzo “HO IL CANCRO E NON HO
L’ABITO ADATTO”, la storia di una
vita che cambia completamente da un giorno
all’altro.
È la testimonianza di un
viaggio alla scoperta di una malattia, un
viaggio che nessuno vorrebbe mai fare, ma la
donna, che ne è suo malgrado la
protagonista, sceglie di farlo con tutta la
gioia di vivere di cui è capace.
Cristina Piga parla della
sua malattia in un modo assolutamente fuori
dal comune, cogliendone aspetti tragici e
comici, così come accade normalmente nella
vita. Le crude descrizioni delle terapie si
alternano alle banali vicissitudini del
quotidiano, come ad esempio un vestito che
non ti va più.
L’autrice racconta il suo
percorso per sconfiggere il cancro con toni
dolci-amari, spesso con punte di divertita
autoironia, dimostrando che guarire è
possibile ed è sicuramente più facile se non
si smette di guardare al futuro con
ottimismo e non si rinuncia mai a essere se
stesse.
"Ho vinto" la malattia

Anna 44 anni - Tumore al
seno
Anna ha 44 anni, è una
hostess di terra all’Aeroporto di Linate ed
è mamma di Greta e Sofia, di 13 e 6 anni.
Nella sua famiglia già la
nonna e la zia materna erano state colpite
da tumore.
Nel 1996, a 33 anni, una
normale visita di controllo rileva la
presenza di un fibroadenoma al seno, che il
medico le raccomanda di tenere controllato.
Basta questa piccola indicazione ed Anna si
attiva.
Dopo diverse vicissitudini
subisce l'intervento chirurgico, che
permette la diagnosi vera e propria di
tumore al seno e che richiede una
mastectomia radicale.
Dopo l’operazione Anna si è
sottoposta a 6 cicli di chemioterapia
preventiva e racconta di essere riuscita ad
affrontare quel brutto momento grazie alla
presenza di sua figlia Greta, che in quel
periodo aveva 1 anno.
Dopo l’intervento Anna si è
sottoposta a ricostruzione del seno e nel
2001, concluse tutte le cure, è diventata
nuovamente mamma di Sofia, che ha allattato
al seno sano per 8 mesi.
"Ho vinto" la malattia

Cristian 29 anni -
Linfoma non Hodgkin
Mi sono ammalato di
linfoma non Hodgkin all’età di 8 anni. Ho
subito la chemioterapia e sono stato
ricoverato per le cure a periodi per circa
un anno. Ora sono completamente guarito.
Mi sono ammalato
di linfoma non Hodgkin all’età di
8 anni. Il 5 giugno 1986 sono
stato ricoverato in gravi
condizioni all’Ospedale Sant’Orsola
di Bologna. Durante i primi
sintomi della malattia infatti ho
tenuto nascosto i dolori che
quotidianamente avevo all’addome.
Molti mi hanno
chiesto il perché di questa mia
reticenza ma forse la ragione più
significativa è data dal mio
carattere. Ho sempre avuto una
grande sopportazione al male e ho
passato parte della mia infanzia
con i miei nonni in campagna,
quindi quando avevo i dolori così
lancinanti mi nascondevo.
Anche i miei
genitori all’inizio pensavano che
utilizzassi questi dolori come
scusa per andare nel loro lettone
a me tanto caro. Iniziarono
comunque una serie di visite ma
all’inizio le fitte addominali
vennero scambiate in coliti. Poi
quella notte le fitte iniziarono
di continuo e iniziò l’avventura.
Ho subito chemioterapia. Sono
stato ricoverato per le cure a
periodi all’Ospedale Sant’Orsola
per circa un anno e ora sono
completamente guarito.
Ho cercato sempre
di godermi quello che il destino
mi condete, cerco di gioire e
nonostante il lavoro impegnativo
cerco di non perdere il valore per
le piccole cose, per un sorriso o
per due chiacchere tra amici. Ho
fatto tantissimi lavori, dal
barista, al tecnico, al gestore.
Oggi sono titolare di una agenzia
di telecomunicazioni, gioco a
tennis, portiere di calcetto,
amante della vela e quando nevica
il sapore dell’aria mentre scio è
impagabile.
Sono già passati
diciotto anni da quel cinque
giugno. Alcuni potrebbero pensare
che ormai la mia memoria sia
offuscata, che abbia ormai
cancellato quelli che per alcuni
potrebbero essere spiacevoli
ricordi. Quando anche quell’esperienza
ha condizionato e condizionerà
tutta la mia vita, non sono
pessimista o pieno di tristezza,
anzi…
Nella mente non
mi sovvengono però fatti specifici
o momenti particolari, ma un
sentimento che oggi, come allora,
mi aiuta a proseguire e a superare
gli ostacoli più grandi. Anche se
non ricordo distintamente, nome
per nome i dottori e le persone
che mi furono accanto, di loro
avrò sempre un ricordo indelebile.
Oltre alle medicine, quanto mai
provvidenziali, ciò che mi ha
fatto veramente sconfiggere e
combattere il “Cattivo”, sono
stati i medici, lo staff
dell’ospedale, i miei parenti e,
soprattutto i miei genitori. Quel
sentimento non si può chiamare
semplicemente amore è qualcosa di
più profondo. Ho potuto superare
quei giorni grazie a mia madre e
mio padre che con la loro
presenza, con il loro affetto, con
la loro fiducia in me, mi hanno
dato la forza d’avere voglia di
vivere e di credere in me stesso.
Molti penseranno
che una persona così giovane in un
letto d’ospedale non possa pensare
o provare queste cose ed in fondo,
è vero. Non capivo, infatti,
quanto fosse importante la
presenza dei miei genitori sempre
costante, l’afflusso di parenti e
amici, e i dottori che tenacemente
non mi davano il tempo di
arrendermi e di non sperare più
nel futuro. Solo oggi posso
capire, perché allora ero
impegnato a lottare contro
qualcosa che spesso non mi dava il
tempo di ragionare e riflettere.
Semplici gesti d’affetto, che
spesso riteniamo superflui, a
volte possono salvare la vita a
qualcuno, dandogli la speranza. Ci
sono momenti in cui il destino
sembra accanirsi contro di noi,
contro i nostri famigliari o
contro i nostri amici. Spesso,
come penso tutti, mi sono chiesto
se fosse un caso o no. È inutile
arrendersi o accettare le cose
così come sono.
Con la mia
esperienza sono venuto a contatto
con una realtà per me sconosciuta.
Ho conosciuto un mondo astratto
nel quale l’amore infinito tra me
e i miei genitori e quello delle
altre innumerevoli persone che mi
hanno aiutato, a fatto sì che
potessi lottare e aprire quella
porta in modo tale che le medicine
questo dovrebbe far riflettere
tutti noi. Ogni giorno centinaia
di persone giovani scoprono di
avere un tumore e per fortuna
molti di loro guariscono e
parlandone scoprono quanto vasto
il numero di ammalati. Eppure non
se ne parla, quasi un tabù: io
stesso fino all’età di 18 anni non
ne ho parlato con nessuno forse
perché allora sembrava il vero
Male, quello improvviso e non
tangibile, troppo grande per
essere raccontato.
A otto anni mi
hanno diagnosticato un linfoma non
Hodgkin, i medici mi avevano dato
il dieci per cento di probabilità
di guarigione. Oggi grazie ai
progressi della ricerca più del 60
per cento dei malati si salva.
Queste mie poche parole e queste
mie foto servono solo a far capire
che il cancro da invisibile sta
diventando sempre più tangibile.
Che anni di sforzi nella ricerca e
nella sensibilizzazione di chi
ancora ha paura di ciò nel non
vuole accettare perché non riesce
a toccarlo, sono serviti a
qualcosa.
Grazie alla
ricerca il genoma umano è stato
sequenziato, grazie alla ricerca
si scopre come uno stile di vita
corretto e sano possa prevenire
del 50 per cento i tumori e,
finalmente, oggi grazie alla
diagnostica molecolare, possiamo
riscontrare un tumore nella sua
fase iniziale aumentando di molto
la possibilità di guarigione. Non
sono un dottore, né un
ricercatore, ma ogni anno persone
che dedicano la loro vita agli
altri mi contattano per essere un
esempio vivente delle loro
ricerche. Ogni anno mi accorgo
quanto la scoperta del nostro
corpo apra a soluzioni che, a
breve termine, sembravano
fantascientifiche.
Oggi anch’io sono
stato catturato dalla frenesia del
progresso e da ciò che ne segue.
Dentro di me, però, rimane non un
ricordo di sofferenza, ma qualcosa
che mi fa vedere e capire le
situazioni e le personalità
altrui, le più disparate. Sembrerà
egoistico, ma a volte, un gesto
d’amore può salvare la vita a
qualcuno, principalmente salva la
nostra.
"Ho vinto" la
malattia

Lorenzo 38
anni
Nel 1997 i
medici diagnosticano a Lorenzo un
tumore al testicolo. Lorenzo viene
subito operato e sottoposto a
chemioterapia.
In questo
difficile periodo, Lorenzo non
sapeva ancora di avere vicino a sé
la sua futura moglie. A curarlo,
infatti, è la dottoressa Ilaria
Pazzagli, in quel periodo borsista
della FIRC, che sposerà poi nel
2003.
Le cure cui Lorenzo è stato
sottoposto avrebbero potuto impedirgli di
avere figli, ma Ilaria e Lorenzo hanno avuto
la gioia di diventare mamma e papà di
Edoardo che oggi ha 3 anni e tra pochi mesi
diventeranno nuovamente genitori.
Lorenzo ha voluto
raccontare la sua esperienza contro il
cancro in un diario che è poi stato
pubblicato col titolo: “ORECCHIE DI
ELEFANTE ovvero il cancro che ho sconfitto”.
Parte del ricavato è stato devoluto ad AIRC.
Vi proponiamo un brano di
questo libro, di cui è stata rispettata la
stesura originale.
12 dicembre
1997
Nel sonno sono colto da un dolore fortissimo
alla schiena.
Mi agito nel letto e i miei movimenti
svegliano Lara.
Penso subito ad una contrattura muscolare.
Cerco una posizione che mi permetta di
sentire meno il dolore: è tutto inutile.
Lara mi propone di andare al pronto
soccorso, ma io le rispondo che non è niente
di grave, è solo la solita contrattura che
ogni tanto si fa sentire.
Ma il dolore si fa sempre più acuto.
Lara insiste nel volermi portare
all'ospedale.
Saliamo in macchina senza nemmeno cambiarci.
Al pronto soccorso diagnosticano una colica
renale.
E' notte fonda.
Mi danno un letto per attendere il mattino,
quando si faranno "tutte le analisi del
caso".
Sono nervoso: essere ricoverato vuol dire
perdere giorni preziosi per lo studio.
E' una notte di sofferenze perchè gli
analgesici non mi fanno passare il dolore.
L'ultima notte in cui ho potuto permettermi
di provare disagio per un semplice dolore
fisico; per qualcosa che avrebbe comunque
avuto una fine.
Lentamente arriva il mattino.
L'infermiera si avvicina e mi preleva il
sangue per le analisi.
E' poi la volta della dottoressa.
Mi visita. Le faccio notare un rigonfiamento
che ho sulla sinistra dell'addome. Lei
verifica, lo controlla, ci torna sopra. Mi
assicura che è solo una reazione muscolare
dovuta ai dolori della notte.
Da quel momento tutto cambia: mi siedono su
una sedia a rotelle e mi portano da un
reparto all'altro. Mi sottopongono ad un
esame, poi ad un altro e un altro ancora.
Non mi fanno più seguire i percorsi normali:
passo avanti a tutti. Ad ogni esame sento
crescere la tensione di chi mi sta intorno.
Sono trasferito nervosamente da una TAC ad
un'ecografia.
Sento che qualcosa non va, che dagli esami
deve essere risultato qualcosa di grave.
Domando ad un dottore, poi ad un altro. Poi
ad un'infermiera, poi ad un altro dottore.
Nessuno mi informa.
Finalmente rientro nella stanza del pronto
soccorso.
Tutto torna tranquillo.
Dopo qualche minuto entra un dottore, mi si
siede davanti e inizia a parlarmi in termini
medici, che io non capisco.
Lo lascio parlare.
Ad un certo punto lo interrompo, gli chiedo
di essere più preciso. Lui smette di
guardarmi negli occhi, e così capisco che
c'è qualcosa di grosso. Riprende a parlare,
questa volta più chiaro ma senza mai
riuscire a riportare il suo sguardo nei miei
occhi.
Parla di testicolo, di rene, di intestino e
poi, dopo una breve pausa, di cancro.
Tutto si ferma.
Cerco di pensare a qualcosa. Sempre più mi
accorgo che c'è una sensazione che mi
avvolge, quella sensazione che non mi
lascerà più: c'è qualcosa che ha già deciso
per me.
Senza chiedermi niente, di nascosto.
E nulla può servire a cambiare le cose, è
tutto già deciso.
Ha messo le sue luride mani sul mio corpo.
Ha deciso come e quando.
Lara telefona a mia sorella, Giulia, che
accorre.
Giulia chiama mio padre.
In un primo momento non gli dicono nulla.
Arriva in ospedale con la sua solita
tranquillità.
Mi trova seduto su una seggiola e non sembro
avere nessun problema. Mi dice che possiamo
tornarcene a casa.
Sa soltanto che ho avuto una colica renale e
che mi hanno trattenuto in ospedale per
alcuni controlli. Gli dico di andare a
parlare con il dottore del pronto soccorso
perchè ha chiesto di lui.
Non ho ancora pensato a come dire a mio
padre cosa mi è successo e, quando lo vedo
arrivare, mi rendo conto di non essere
assolutamente preparato.
Non sono in grado di trovare le parole
adatte.
In quel momento sento un senso di colpa nei
suoi confronti.
So che la notizia non potrà che
sconvolgerlo, e darei qualsiasi cosa per
poterlo evitare.
Quando lo vedo tornare dal pronto soccorso è
completamente bianco in volto.
Da questo momento cominciano le
considerazioni, i pensieri, i dubbi di chi
si trova in una situazione che dall'esterno
è impossibile immaginare.
L'unica speranza che ho di salvarmi è la
chemioterapia, tanto cruda e crudele quanto
la malattia che vuole combattere.
Non sono tanto i suoi effetti collaterali
sul mio corpo a preoccuparmi, quanto i segni
che sul corpo lascerà, e che trasformeranno
la mia immagine agli occhi di chi mi
conosce.
Ma non sarà tanto la mia immagine a
cambiare, quanto il mio atteggiamento
psicologico nei confronti di un nuovo mondo.
In una sola notte tutto si è capovolto.
Ogni pensiero, ogni aspettativa, dalla più
piccola alla più grande, tutto diventa parte
di un mondo che fino ad un attimo prima
c'era, e che, come per un incantesimo, è
scomparso.
In una sola notte tutto si è capovolto.
Quel male di cui spesso si parla è diventato
il fulcro della mia esistenza: quel male che
appartiene sempre e solo agli altri, che non
avrebbe mai potuto coinvolgermi in prima
persona.
In una sola notte tutto si è capovolto.
Lorenzo Purini
ORECCHIE DI ELEFANTE ovvero il
cancro che io ho sconfitto
1999, Tirrenia Stampatori
"Ho vinto" la malattia

Barbara 20 anni
All’età di 9 anni giocando a
pallavolo dopo una forte pallonata le si gonfia la
gamba. Nel giro di 10 giorni la gamba diventa il doppio
dell’altra.
Barbara è nata a Roma. All’età di 9
anni giocando a pallavolo dopo una forte pallonata le si
gonfia la gamba. Nel giro di 10 giorni la gamba diventa
il doppio dell’altra. Il primo controllo medico
tranquillizza i genitori e Barbara continua a giocare a
pallavolo anche se il dolore e il gonfiore persistono.
Un giorno un gesto affettuoso
del padre – che le stringe il ginocchio – la
fa balzare in piedi per un dolore fortissimo.
Il padre preoccupato decide di portare Barbara
da un pediatra che capisce subito la gravità
del caso e la sottopone immediatamente a una
radiografia che evidenzia un osteosarcoma.
Barbara viene indirizzata
immediatamente al Rizzoli. La notte stessa
Barbara e i suoi genitori partono per Bologna.
Il 27 dicembre Barbara inizia
la chemioterapia con buoni risultati. Il corpo
risponde in maniera adeguata. Il 7 aprile
viene operata. Si parte con l’idea di fare un
intervento molto demolitivo. Barbara è
disperata, ma per sua fortuna le diagnosi pre
intervento dimostrano che il tumore è più
piccolo di quanto si pensava e che
probabilmente si potrà fare un intervento meno
invasivo. Dopo l’operazione il primo ricordo
di Barbara al risveglio è la voce del padre
che le conferma che la gamba non è stata
amputata.
Dopo l’intervento prosegue la
chemioterapia e negli anni si sottopone a
diversi interventi causati dal continuo
accrescimento del suo corpo data la giovane
età. Barbara continua a fare controlli
periodici per evitare il rischio di tumore al
polmone.
Barbara oggi è guarita.
Periodicamente va al Rizzoli a ritrovare i
suoi medici e si dedica ai pazienti ricoverati
perché pensa che la sua testimonianza possa
servire moltissimo a chi sta lottando contro
la malattia.
Ho vinto" la malattia

Lucilla: ero una bambina che
entrava nel gioco della vita
Appena prima di Natale, una mattina
a scuola gioca con i compagni, cade, prende una botta al
ginocchio. Non ci fa neanche caso. Passerà, come sempre.
E invece non passa...
È dura quando hai 11 anni,
sei una bambina che ha appena cominciato a
divertirsi nel gioco della vita, e
d’improvviso capisci che il gioco cambia, e
che il gioco nuovo non è bello per niente, e
ti fa soffrire, e ti fa diversa dagli altri
coetanei, e non capisci perché le cose siano
cambiate così in fretta.
Nel 1990 Lucilla Ticcari
abita in una bella casa a Roma, ha due
genitori che le vogliono bene, un fratello
maggiore, Michele, che l’adora, va bene a
scuola, ha un sacco di amiche, è brava in
danza classica. Appena prima di Natale, una
mattina a scuola gioca a spintoni con i
compagni, cade, prende una botta al ginocchio.
Non ci fa neanche caso. Passerà, come sempre.
E invece non passa. Il dolore rimane. Ma
quando va a farsi vedere dal medico, Lucilla
si sente ancora la protagonista di una fiaba.
Le fanno una radiografia, il medico la fa
vedere ai suoi genitori e spiega che è meglio
fare qualche altro controllo, c’è una strana
ombra tra il femore e il ginocchio.
E Lucilla fa le
altre analisi al Policlinico di
Roma. I genitori non le dicono
nulla, non vogliono certo
preoccuparla parlando di un
possibile tumore alle ossa, chissà
poi che razza di malattia è un
tumore. Ma lo sguardo di mamma e
papà è cambiato, e poi c’è da andare
a Bologna, a farsi vedere da un
grande medico, ed è solo
un’intuizione, ma di colpo Lucilla
percepisce che forse la sua fiaba si
sta trasformando in qualcosa di
diverso. «Mi avevano diagnosticato
un osteosarcoma», spiega Lucilla,
che oggi ha 24 anni, sta benone e,
ironia della sorte, a Bologna è
tornata, ma per studiare all‘Università,
dove è arrivata al quinto anno di
medicina, forse non un caso anche la
scelta della facoltà. «L’osteosarcoma,
lo avrei saputo molto più tardi, è
un cancro che colpisce un centinaio
di persone all’anno in Italia, quasi
sempre in età adolescenziale.
Il tessuto tumorale
si forma nella parte interna delle
ossa e poi si espande, conquista
spazio verso l’esterno, togliendolo
alle cellule sane. I medici non
fecero tanti giri di parole per
dirmi cosa mi aspettava: dovevano
curarmi, dovevo aspettarmi mesi di
ospedale intervallati da brevi
rientri a casa, dovevo essere forte
perché avrei sentito del dolore,
perché non avrei potuto andare a
scuola, perché dovevo interrompere
la danza classica, perché avrei
perso i capelli, perché avrei dovuto
restare a letto per giornate intere
con una siringa al braccio. Mi
sembrava di vivere un sogno, forse
un incubo. Da un lato ero quasi
contenta di saltare la scuola,
dall’altra ero sconcertata, non
capivo cosa mi stava succedendo,
avevo paura. E devo ringraziare i
miei genitori che mi sono sempre
stati vicini, mia mamma che non mi
ha abbandonato un giorno, mio papà
che faceva la spola tra Roma e
Bologna. E devo ringraziare l’équipe
dei medici e degli infermieri del
Rizzoli di Bologna, le maestre con
cui facevo qualche lezione in corsia
per non restare troppo indietro, i
compagni e le compagne di
un’avventura che nessuno aveva
scelto di fare. C’era chi la
prendeva meglio, chi peggio, e con
alcuni siamo rimasti in contatto per
anni, perché si era stabilita una
complicità tutta speciale. Ricordo
anche tante ore vuote, tante ore di
attesa, che io occupavo soprattutto
leggendo e scrivendo, perché al
Rizzoli veniva redatto un giornalino
interamente scritto dai bambini
ricoverati».
«Dopo diversi cicli di chemioterapia»,
continua Lucilla, «venni operata a maggio. Un’operazione
lunga 7-8 ore, un intervento innovativo, fatto per la
prima volta su una bambina della mia età: mi tolsero
l’ultima parte del femore, una ventina di centimetri di
lunghezza, salvaguardando al massimo il tessuto sano. Al
suo posto misero un tratto di femore prelevato dalla
“Banca delle Ossa” presente proprio a Bologna. Tutto
finito? Per niente. Altri controlli medici. Altri cicli
di chemioterapia e, per un anno, fisioterapia tutti i
giorni, per tornare a muovere bene la gamba e il
ginocchio. Mi vedevo tutti i giorni con il
fisioterapista ed era nato un rapporto speciale: ogni
volta lui sapeva che mi avrebbe fatto male e io sapevo
che avrei sentito male. Dopo un anno i medici
verificarono che la fusione tra il mio femore e l’osso
innestato non era perfetta. E via un altro intervento,
in cui vennero utilizzati dei frammenti di osso
prelevati dalla mia anca. Dopo un po’ - era il 1993 - in
uno dei controlli scopersero una metastasi polmonare:
altro ricovero, altro intervento. Intanto avevo finito
le medie, mi ero iscritta al liceo classico, ma non era
proprio semplice andare in classe con le stampelle, il
tutore, senza capelli».
«Era dura per me, ma era dura anche per
i compagni», ricorda Lucilla. «Alcuni non erano proprio
preparati ad affrontare il dolore, la malattia. Sono
anni in cui ho imparato a conoscere meglio le persone, a
capire chi mi vuole veramente bene e chi finge per
convenzione. Ora sono passati dieci anni dall’ultimo
intervento, sono guarita, conduco una vita del tutto
normale: devo giusto stare un po’ attenta nello
scegliere gli sport, perché ho un rischio maggiore di
rompere gamba e ginocchio. Ma ho praticato l’aikido,
un’arte marziale, e la scorsa estate sono stata in
Africa, con l’Università. A volte mi guardo indietro e
penso che la malattia mi ha tolto alcune cose, ma ne ha
date altre. Prima di stare male ero sicuramente un po’
più stupida. Dopo ho capito molto di più la felicità che
danno le piccole cose, quando anche una passeggiata
diventa una conquista. E quando mi sembra che lo stress
e i problemi di tutti i giorni mi travolgano, mi capita
d’istinto di ripensare alla mia lotta contro il cancro.
E tutto, come d’incanto, trova la sua giusta dimensione,
nella scala delle priorità».
"Ho vinto" la malattia

Una parentesi nel fluire
tranquillo della mia vita
Oggi, a sette anni di distanza, di
quella parentesi quasi non mi ricordo più. Solo, ogni
tanto, un pensiero fugace che ho imparato ad
allontanare.
«Una brutta parentesi nel
fluire tranquillo della mia vita. Un mese o
poco più di paure. Ma come tutte le parentesi,
con un inizio e con una fine.
E oggi, a sette anni di
distanza, di questa parentesi quasi non mi
ricordo più, la mia vita è tornata ad essere
esattamente quella di prima e, dalla mia
esperienza, posso proprio dire che il cancro è
una malattia come tante altre: è possibile
esserne colpiti ma si può guarire.
Un’esperienza di cui non ho
difficoltà a parlare, perché credo possa
essere utile a tante altre persone».
Rosaria Severino,
partenopea, insegnante di lettere in
una scuola media a Lago Patria,
villaggio residenziale alle porte di
Napoli, parla con distaccata soavità
della sua “brutta parentesi”, di
quel cancro del colon che apparve
come un fulmine a ciel sereno sette
anni fa, proprio alla vigilia di San
Silvestro. «Non avevo mai avvertito
alcun fastidio, se non qualche
ricorrente periodo di stipsi», dice
la professoressa Severino. «Non
riuscivo quindi a capacitarmi di
quello strano dolore all’addome.
Vista la stagione pensai lì per lì a
un sintomo influenzale, ma c’era
qualcosa che non tornava. Al tatto
sentivo uno strano rigonfiamento,
forse non è nulla di importante - mi
dicevo - ma, d’accordo con mio
marito, il mattino dopo andai al
pronto soccorso per farmi vedere.
«Mi fecero
un’ecografia, poi il medico chiese
di fare altri accertamenti - tra cui
un clisma opaco - per saperne di
più. Ricoverata in un ospedale
vicino a casa, feci i test ed emerse
quell’orribile sospetto: c’era la
possibilità che all’origine di tutto
fosse un tumore al colon. Si
annunciava proprio bene l’anno
nuovo…
«Ma mi feci forza,
anche grazie a mio marito e alle mie
due figlie, che mi hanno supportata
e coccolata lungo tutta la mia…
brutta parentesi. Parlando anche con
amici e conoscenti, decisi di farmi
ricoverare in un centro
specializzato nel trattamento dei
tumori.
Detto fatto mi
ritrovai al reparto di chirurgia
addominale dell’Istituto Tumori di
Napoli, venni subito sottoposta a
una colonscopia, che confermò la
diagnosi e che indusse i medici a
suggerirmi l’intervento chirurgico
per rimuovere la massa tumorale.
“Quando”, chiesi? “Subito”, mi
risposero. Non c’era proprio tempo
da perdere, pare. Così, nel giro di
pochi giorni mi ritrovai dai
preparativi per il veglione di fine
anno ai preparativi per finire in
sala operatoria…
Andò tutto bene.
L’operazione, il decorso, le tre
settimane che rimasi in ospedale.
Nessun dolore, nessun fastidio,
nessuna complicazione. Così come
andò liscio il ciclo di
chemioterapia che iniziai una volta
tornata a casa. Ero preoccupata,
temevo di perdere i capelli e brutte
idee di questo tipo, alimentate dal
sentito dire. In realtà sopportai
bene la chemio, credo fosse tra
l’altro un ciclo “leggero”, non
persi neanche un capello, giusto
avvertii un po’ di nausea dopo le
ultime sedute.
E intanto
cominciavo a mordere il freno. A
scuola avevo ovviamente smesso di
andare, ma io col passare dei giorni
mi sentivo sempre meglio e avevo
voglia di tornare al lavoro, dai
miei ragazzi. Perché lo sentivo come
un dovere, ma anche come un piacere,
e poi mi sembrava un modo per non
restare a casa a fare nulla. Con la
mente troppo libera di fissarsi
sulla paura che il male tornasse a
farsi vivo. Con il pensiero che
spesso andava all’ospedale, alle
terapie, al timore di una ricaduta.
Be’, per qualche mese dovetti stare
al gioco del riposo forzato, ma a
settembre, con l’inizio del nuovo
anno scolastico, tornai in aula. E,
da allora, non ho più smesso, anche
adesso che avrei la possibilità di
andare in pensione.
Ogni tanto mi
assento dalle lezioni per fare esami
di controllo (che stanno diventando
peraltro sempre più radi) e questo è
l’unico punto di contatto che mi
riporta a quella brutta parentesi.
Per il resto vivo come prima, meglio
di prima. Non ho nessun disturbo,
mangio di tutto e digerisco bene.
Sì, lo ammetto, quando sento un
dolorino qua o là non posso fare a
meno di avvertire un’ombra, di
essere presa dalla paura di una
ricaduta. Ma è un pensiero fugace,
che ho imparato ad allontanare. La
parentesi - per me - è chiusa».
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Mi piacerebbe poter dedicare parte del sito all' osservazione
delle meraviglie del mondo che ci circonda. Sono convinto che non ci si
soffermi abbastanza ad osservare e spesso non percepiamo la bellezza
intorno a noi.
Guardate quà :
un
semplicissimo fiore che vedo dalla finestra di casa mia! Osservatelo per
qualche minuto e vedrete l' universo che ruota attorno a un semplice
fiore: ogni giorno decine di fiori cadono dai rami e altre decine
nascono per dare spettacolo e allietare le nostre giornate. La notte si
chiudono per poi riapprirsi in tutto il loro splendore alle prime
luci del sole. Le api saltano da un fiore all' altro contendendosi
le dolci sostanze prodotte con le farfalle e i passerotti. Le formiche
instancabili salgono lungo i rami alla ricerca di qualcosa da mangiare.
Semplicemente uno spettacolo Fantastico e a disposizione di tutti.
Osservate un fiore sotto casa vostra per incominciare e proseguire
nel migliore dei modi la vostra giornata all' insegna dello stupore e
della meraviglia......
L' ANGOLO DELLE MERAVIGLIE
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